Il contesto Storico

Dopo un ventennio di lotte, Federico I di Svevia, imperatore tedesco e Re d’Italia, ha deciso: è giunto il momento di scrivere l’ultimo capitolo dello scontro con i Comuni lombardi.
Da un lato c’è lui, il “Barbarossa”: forte e carismatico, non accetta la politica dei suoi più recenti predecessori che, da oltre un secolo, sembrano aver “dimenticato” la penisola italiana, pur possedendone formalmente il controllo. Dall’altra ci sono i Comuni, entità politiche nuove nate nel nord Italia per colmare il vuoto istituzionale di un impero assente e poco interessato agli equilibri politici italiani.
Guidate dalla potente Milano, le città lombarde non osano mettere in discussione Federico o il suo impero: quel che vogliono è il riconoscimento di diritti (dichiarare guerra, concedere libero mercato, riscuotere i regalia) che per consuetudine Milano aveva esercitato, sostituendosi al sovrano. Al Barbarossa, intenzionato a ristabilire un saldo e centralizzato potere imperiale su tutto il suo territorio, era bastato intuire quale fosse la realtà dei fatti in Italia, per capire che sarebbero state necessarie le armi.
Essere sceso cinque volte in Italia e aver raso al suolo Milano nel 1162 non era bastato per convincere le città lombarde della necessità di desistere: unite dall’aprile 1167 nella Lega Lombarda, un’alleanza molto meno leggendaria di quanto la letteratura e l’immaginario ottocentesco abbiano descritto, trentacinque città e diversi feudatari accettano la sfida. Che la resa dei conti abbia inizio.

Dopo un lungo inverno trascorso a pianificare lo scontro finale, Federico incarica Filippo, arcivescovo di Colonia, di radunare le migliori truppe tedesche e partire. Destinazione: Lombardia, Italia. Ci vogliono diversi mesi perché l’esercito imperiale passi le Alpi attraversando i valichi svizzeri: nel mese di maggio arriva a Como, dove giunge lo stesso Imperatore Federico per passarlo in rassegna e muoversi in direzione del Ticino, dove lo aspettano gli eserciti locali suoi alleati. I Comuni lombardi sanno che l’imperatore si è mosso. Sanno che è partito con l’obiettivo di dimostrare una volta per tutte chi comanda, nell’impero. Sanno che è disposto a qualsiasi cosa pur di portare a termine, da vincitore, questa ennesima campagna d’Italia. Ma non per questo si rassegnano: forse non potranno contare su un esercito forte come quello dell’impero, ma sono astuti, i lombardi. Approfittando della stanchezza imperiale causata dal lungo viaggio, chiamano a raccolta ogni truppa, cavaliere e fante a loro disposizione, sorprendono Federico sulla strada per Pavia e gli impediscono il ricongiungimento con gli alleati. La fine tattica militare del Barbarossa ha fallito.

Le truppe comunali posizionano il Carroccio, carro da guerra utilizzato come punto di raccolta durante le battaglie, in un punto strategico: Legnano, borgo al centro di importanti vie di comunicazione tra il contado milanese e quello del Seprio.
Un’avanguardia di 700 cavalieri si muove verso Como, per sorprendere Federico e anticiparne le mosse: lo scontro tra i due eserciti in marcia è inevitabile.
E’ il 29 maggio 1176: una pagina di storia medievale sta per essere scritta.
Da soli, i primi cavalieri lombardi andati incontro all’imperatore non possono contenere la furia del nemico: aspettando i rinforzi provenienti da Milano pagano la loro inferiorità numerica, e vengono respinti dalle lance imperiali verso il Carroccio. Là, intorno al carro, sono rimasti i fanti, bloccati dai cavalieri tedeschi e incapaci di muoversi. Non si tratta però di viltà: i fanti lombardi, armati di aste e protetti solo dai loro scudi, formano un impenetrabile muro di punte simile all’antica falange macedone, contro cui si infrange la carica dei cavalieri nemici.
Federico, il grande imperatore, non può arrendersi di fronte ad una manciata di soldati appiedati, e attacca con violenza una, due, tre, quattro linee di fanti. La quinta però non cede. Tre colombe – simbolo dei Santi Martiri Sisinnio, Martirio e Alessandro, festeggiati proprio il 29 maggio – volano sul campo di battaglia fino a posarsi sull’antenna del Carroccio. Che sia solo una leggenda? Forse. Che sia stato Alberto da Giussano e la sua “Compagnia della Morte” a guidare i comuni verso la vittoria? Difficile, se non impossibile, stabilire.
Certo è che, per la prima volta nella storia militare del Medioevo, la fanteria affronta con successo i soldati a cavallo. Approfittando della concentrazione di forze ed uomini intorno al Carroccio, i cavalieri lombardi fuggiti nelle prime fasi degli scontri hanno il tempo di riorganizzarsi e unirsi alle truppe partite da Milano: mai momento era stato tanto critico per le truppe imperiali. L’esercito di Federico, esausto per la lunga battaglia, è sconfitto. Il portabandiera imperiale, trafitto da una lancia e calpestato dai cavalli, trova la morte. Lo stesso Federico viene disarcionato e scompare nella mischia. Le truppe imperiali provano a fuggire, terrorizzate: alcuni soldati, non riuscendoci, vengono uccisi sul campo di battaglia; altri si muovono verso il Ticino, nelle cui acque trovano la morte; quelli rimasti vengono fatti prigionieri e distribuiti alle città della Lega.

Lo scontro tra Lega Lombarda e Imperatore non si chiude, però, in quel di Legnano: ad Anagni, Venezia e poi a Piacenza, i delegati imperiali e i rappresentanti comunali si incontrano per tentare una soluzione diplomatica della rottura, con la mediazione papale.
Gli accordi impegnano le parti in causa per oltre sei anni; il 25 giugno 1183, a Costanza, Federico sottoscrive personalmente quella che passa alla storia come “Pace di Costanza”. Una generosa concessione sovrana, più che un vero atto giuridico. Ma, comunque, un esplicito riconoscimento da parte di Federico delle richieste fatte oltre due decenni prima dai Comuni lombardi: la consuetudine divenne fonte del diritto, che le città erano autorizzate a esercitare nei limiti dei propri territori e nelle forme sancite dalle consuetudini stesse.
E, soprattutto, l’ingresso di Legnano nella Storia.